FAI IL LEADER O SEI UN LEADER? 4+2 ASPETTI DA TENERE IN CONSIDERAZIONE
C’è una differenza tra fare il leader ed essere un leader. Non è solo legata all’esempio o alla preparazione ma anche ad aspetti comportamentali.
Quando giocavo a calcio, ormai tanti anni fa, il nostro preparatore atletico, una volontà d’acciaio e una resistenza indefessa, diceva spesso che c’è una grossa differenza tra ESSERE atleta e FARE l’atleta.Lo diceva ai ragazzi che la sera prima della partita, giocavamo la domenica mattina, andavano a divertirsi e tornavano a casa un po’ troppo tardi e un po’ troppo “carichi”.
Fare l’atleta è l’atteggiamento di chi si allena, magari tecnicamente è anche capace, magari riesce a fare qualche giochetto, ma non si focalizza sul comportamento e su quello che normalmente si chiama allineamento tra presenza ed aderenza. Non basta essere fisicamente presenti ad un allenamento, bisogna essere capaci di svolgere quello che l’allenamento prevede di fare ed arrivare al miglioramento previsto. E questo concetto ti accompagna anche fuori dal campo sportivo poiché ESSERE è una caratteristica pervasiva.
Per questo oggi ci sono decine di ex atleti professionisti che oggi fanno i formatori. Non tanto perché siano dei fantastici “speaker”, anzi alcuni di loro non lo sono per nulla, ma perché hanno dimostrato di ESSERE atleti e di riuscire a fare quello che deve essere fatto.
“Walk the Walk, talk the talk” direbbero gli americani. Dire ciò che si fa, fare ciò che si dice.
E la prova è che molti di loro si comportano da atleti anche finita la carriera, continuano ad avere delle routine che sono le stesse che hanno fatto la loro fortuna.
Non sono dei lettori o dei teorici, ma sono persone che hanno fatto. Anche se non sono perfetti: hanno infatti un piccolo problema… sono monomaniaci e spesso non capiscono chi non lo è (ne avevo parlato anche in questo articolo dove parlo del Principio di Peter).
La differenza tra FARE ed ESSERE è uno degli insegnamenti dello sport che mi sono portato a casa anche nella vita lavorativa. Infatti, se è vero che essere un leader significa influenzare quelli che fanno parte del tuo gruppo, allora questa influenza è potenziata dall’esempio.
Ecco quindi 4 aspetti o caratteristiche che permetteranno di prepararsi ad “Essere leader” facendo in modo di mettere a terra le informazioni che assorbiamo ogni giorno.
La passione per la formazione.
Chi si forma non si ferma è una tipica frase che viene usata da chi tiene corsi. Riuscire a raccogliere nuove informazioni ed a metterle in ordine nella propria testa è il primo passo che dovremmo fare tutti. Leggere, ascoltare, guardare partendo dal fatto che, oggi, abbiamo migliaia di possibilità di trovare ispirazione gratuitamente e semplicemente.
Focus sull’apprendimento.
Non basta conoscere nuove cose, dobbiamo apprenderle ovvero farle nostre dopo averle capite ed applicate. (Ne ho parlato nell’articolo Buon Principio o puoi cercare informazioni sulla Tassonomia di Bloom)
Voglia di capire i processi.
Per riuscire ad avere un impatto, devi capire la situazione attuale il tuo “As Is” così da renderti conto delle potenziali migliorie che puoi apportare e delle aree deboli o di migliorabili.
Chiarezza per anticipare e dirigere.
Una volta che hai imparato cose nuove, le hai fatte tue, hai capito il tuo processo è il momento di implementarle e di valutare i risultati.
Ma questo non basta. Non basta sapere e mettere in pratica. Non voglio cadere nelle banalità di quei sedicenti guru che mandano in giro le vignette che mostrano la differenza tra leader e boss.
Vorrei però aggiungere a questi 4 punti due ulteriori aspetti comportamentali che sono fondamentali per fare in modo che ci sia allineamento tra le persone.
Iniziamo dalla capacità di gestire lo stato mentale.
Non stiamo parlando di psicologia o di strane malattie di comportamento. Stiamo però considerando attività che hanno come scopo ultimo quello di accompagnare altri a raggiungere i loro obiettivi e conseguentemente di attività che permetteranno di far coesistere gli obiettivi del leader con quelli della persona o del gruppo.
Gestire il proprio stato mentale significa essere in grado comprendere punti di vista differenti dal proprio ascoltandoli ed accettandoli senza giudicare.
Questo è tutt’altro che facile, dato che spesso ci si troverà a gestire delle persone il cui risultato andrà ad influenzare il nostro e quindi l’incapacità di generare una visione o un sogno condiviso diventerà un punto negativo per il raggiungimento dell’obiettivo comune. Ciononostante, dovremo essere neutrali e non indirizzare (o non troppo) gli altri.
In secondo luogo, dovremo essere bravi a definire i NOSTRI obiettivi, definire le nostre attività e misurare e aggiustarne il risultato facendo in modo di non essere troppo influenzati dalla situazione che viviamo.
Per chiarire meglio questo punto, ho ascoltato una intervista recente a Sara Blakely, un’imprenditrice statunitense. Nel raccontare dell’evoluzione del suo business, ha posto l’accento sul fatto che per un anno intero non ha condiviso la sua idea con nessuno. Questo non tanto per paura che fosse rubata, ma perché sapeva che, essendo comunque rischiosa, avrebbe ricevuto molti avvertimenti e tutti i motivi per cui sarebbe potuta fallire. E questo non avrebbe aiutato a far nascere un’impresa che invece l’ha resa milionaria.
Devo ammettere che questi due ultimi punti sono per me la parte più difficile da gestire. L’ascolto (ne ho parlato qui nell’articolo: Sei sicuro di sapere con chi stai parlando? ) e la neutralità sono due competenze fondamentali da allenare per creare empatia e riuscire ad ESSERE un leader. E sfortunatamente non allenarli porta a perderne la padronanza.
Ma soprattutto sono il segreto per riuscire a trasmettere una visione, un sogno ed aiutare a definire un obiettivo che sia motivante ovvero che permetta alle persone di automotivarsi.
Se vuoi saperne di più sul come definire degli obiettivi motivanti puoi andare al mio Webinar:
Buona visione e buon lavoro!