OSPITERESTI UN GIAPPONESE? IL SIGNIFICATO DI ATARIMAE
Uno spunto dai mondiali di calcio per la nostra Leadership e per migliorare la comunicazione grazie ai tifosi Giapponesi ed al segreto della parola ATARIMAE.
Come in ogni grande evento, anche i mondiali di calcio in Qatar stanno mostrando alcune situazioni molto caratteristiche (oltre ad aver sollevato il velo su alcune storture del sistema locale).
Tra tutte, l’attenzione di moltissimi è andata ai tifosi giapponesi che puliscono le tribune dopo la partita. Lo so, non è la prima volta che si racconta della loro (ahimè) unicità ma, a mia memoria, è la prima volta che viene mostrato in una competizione così importante, una delle più seguite al mondo.
Osservando questi tifosi rimettere in ordine le gradinate armati di sacchetti e scope può far sorgere due idee totalmente differenti.
C’è chi può considerarli alla stregua di qualcosa di folkloristico, quasi puerile nella sua semplicità andando quasi a schernirli a confronto degli altri tifosi più rudi e meno attenti ai loro comportamenti.
Altri, invece, cercano di capire come questo comportamento è influenzato dalla loro identità, dalla loro “essenza”.
Lavorando ormai da moltissimi anni con tutto il mondo, ho imparato che è fondamentale capire o, almeno, avvicinarsi alla cultura delle persone per riuscire a comunicare con loro in maniera efficace. Ammetto di non conoscere il Giappone bene quanto vorrei e per questo mi sono guardato alcune interviste alle persone in uscita dallo stadio.
Come mi aspettavo le risposte alla domanda “Come mai rimanete a pulire” sono state di diverso tenore.
Molti hanno tirato in ballo il Karma, il fatto che “Il nostro cuore è pulito quindi anche attorno a noi deve essere pulito”. Alcuni, in maniera molto patriotica, hanno detto che “E’ una manifestazione della nostra cultura che vogliamo mostrare. Quando giri il mondo stai rappresentando il Giappone”.
Ma la risposta che mi ha aperto gli occhi è stata semplice e diretta.
ATARIMAE!
Ma cosa diavolo significa Atarimae?
Si dice quando le cose sono “normali, naturali e ovvie” o meglio “cose che sono come ci si dovrebbe aspettare che siano”.
In questo caso, i tifosi puliscono gli spalti poiché gli è stato insegnato che è ovvio dover lasciare le cose migliori di quanto le abbiano trovate.
E’ ovvio, è il Giappone, è la nostra cultura e quindi perché stupirsi?
Il concetto di “ovvietà” è tremendamente scivoloso. Ciò che lo è per qualcuno, non lo è per altri.
Immagina di parlare con uno straniero che cerca di imparare l’italiano. Ad un certo punto ti chiede: “perché quando non sapete qualcosa dite BOH?”
Io non saprei cosa rispondere. Sono cresciuto così e mi sembra la cosa più normale al mondo mentre per altri sembra un verso primitivo.
Per questo, comunicare e sviluppare qualcosa con una cultura differente, o addirittura MOLTO differente, dalla nostra è complicato. Perché non è solo una questione di parole o di vocabolario, di dire quello che bisogna fare. Non si risolve tutto usando un codice comune, normalmente l’inglese, o qualche app magica di traduzione.
La comunicazione è comportamenti, conoscenze nascoste o poco chiare, intenzioni e sentimenti che sono ovvi per qualcuno o maledettamente nascosti per altri.
E’ chiaro quindi che per capire il giapponese o altre nazionalità non affini alla nostra, anche solo in parte, ogni straniero deve sviluppare una considerevole conoscenza degli aspetti “invisibili” della loro cultura ovvero sapere osservare astraendosi dai propri preconcetti. Deve essere “cintura nera” di comunicazione.
Qui arriviamo quindi al punto chiave di questo post.
Se vogliamo essere in grado di vivere in un sistema interconnesso dove tutti possono essere messi in grado di contribuire non solo per la loro conoscenza ma anche per la loro cultura, dobbiamo essere bravi abbastanza da uscire dal nostro “atarimae” e dalle nostre gabbie culturali/comunicative ed entrare in una nuova modalità di relazione.
E non sto parlando solo di relazioni tra culture molto differenti. Se ci pensate bene, spesso ci troviamo in un punto di arresto anche lavorando con persone Europee o tra italiani. A me è successo con Americani, con Tedeschi e, a volte, con colleghi che hanno fatto esperienze differenti dalle mie.
Questa nuova modalità è complicata poiché implica una fase attiva di studio e di ASCOLTO che sarà certamente lunga e faticosa. Ma senza aver preparato in maniera appropriata il campo il rischio è quello di rendere la relazione totalmente sterile e non contaminante o, peggio, di bloccare totalmente la comunicazione rendendola distruttiva.
E’ il concetto che sta alla base della LEADERSHIP SITUAZIONALE, ma che è anche alla base di qualsiasi rapporto che è spesso reso sterile dalla smania di voler parlare troppo presto. Cercare di comprendere gli “atarimae” degli altri non tanto per commentarli o per farne qualche battuta ma per capirli e, potenzialmente, apprenderli ed usarli per arrivare all’obiettivo della nostra comunicazione.
Apprezzando però le peculiarità di ogni cultura e, spero, evitando di semplificare o, peggio, di cambiare quello che è radicato nel loro essere.
Evitando di uniformare tutto a ciò che per noi è semplicemente ATARIMAE.